PSICOTERAPIA FAMILIARE

Il pensiero psicoanalitico, nella sua evoluzione, ha prestato un’attenzione crescente alle dinamiche interpersonali, a partire dalla relazione tra l’analista e il paziente. Ciò ha stimolato molti psicoanalisti ad occuparsi della famiglia come luogo di relazioni oggettuali inconsce di cui è importante tenere conto, per comprendere in modo più approfondito il significato del sintomo del paziente.
Fu proprio la psicoanalisi ad evidenziare che l’essere umano è inconcepibile senza l’esistenza degli altri e che i sintomi dei pazienti hanno un significato che va oltre il singolo individuo.

A partire dall’elaborazione teorica di Joseph e Anne Marie Sandler sulla relazione d’oggetto come “relazione di ruolo intrapsichico” è nato lo stimolo ad estendere questa comprensione a tutte le relazioni interpersonali.
Per usare le parole del Dott. Saccani, psicoanalista e membro fondatore del Centro Studi di via Ariosto di Milano, che ha dedicato una parte molto importante del suo lavoro clinico, di ricerca e di insegnamento alla psicoterapia della famiglia e della coppia: “si è aperta così la strada ad una tecnica di psicoterapia familiare muovendosi secondo una linea di confine che non ignorava le tecniche cosiddette “direttive” elaborate e giustificate in contesti diversi da quello psicoanalitico e cercando di definire “il quando, il come e il perché” sembrava più vantaggioso utilizzare una tecnica piuttosto che un’altra (interpretazioni transferali e dei transferts tra i membri della famiglia, oppure interventi direttivi, paradossali, ecc.)”

La psicoterapia familiare nasce dalla necessità di dare risposta ad alcune difficoltà di trattamento individuale riscontrate nella pratica clinica.
La famiglia è un particolare tipo di gruppo in cui, come nei gruppi in generale, ostacoli al funzionamento possono derivare da conflitti fra le funzioni, i compiti e i ruoli dei vari membri.

Nella famiglia si realizza un incontro fra i mondi rappresentazionali dei componenti, ognuno con i propri desideri inconsci, ognuno con il proprio bisogno di sicurezza e con le proprie modalità per ottenerlo. Quando queste modalità sono complementari, ogni membro a modo suo si sente al sicuro (omeostasi).

Nel ciclo evolutivo della famiglia, tuttavia, ci sono momenti nei quali questa “stabilità” viene minacciata da un cambiamento (la nascita di un figlio, lo svezzamento, l’ingresso a scuola, l’adolescenza, la malattia, la morte di uno dei componenti, la menopausa, il pensionamento, ecc.) Questo cambiamento può allora comportare una difesa o un sintomo in un membro della famiglia, compromettendo l’omeostasi familiare che non riesce più a fornire sentimenti di sicurezza e benessere.

In particolare, assumono importanza nel creare disfunzioni e disturbi le confusioni fra ruoli e funzioni adulte ed infantili (ad esempio la funzione di un padre assente assunta impropriamente da un figlio maschio che, facendo un salto generazionale).

La comprensione delle interazioni familiari permette di dare significato a molti contenuti psichici apparentemente “incomprensibili” e alle condotte “strane” o “aberranti”: è stato così possibile capire come i pazienti esprimano la sofferenza familiare, facendosi “portavoce” della famiglia attraverso i loro sintomi.

Lo scopo della terapia familiare è dare, quindi, significato al sintomo in modo da favorire in ognuno l’assunzione su di sé della propria parte del problema, ad esempio cominciando ad accettare le diversità, a riconoscere le diverse caratteristiche individuali, le diverse personalità, i diversi ruoli, che sono alla base dei processi di separazione-individuazione.